Pietro inserì fugacemente la chiave nella toppa della
porta di casa che, solamente dopo un paio di colpi ben assestati, si lasciò
convincere a compiere adeguatamente il suo dovere.
“Che te pijasse un curpu! Ogni òrda je deo sbatte un
pugnu su li dendi pe’ falla funzionà!”
Essendo un postino e non un fabbro, l’uomo non
conosceva modo più efficace per far andare la dispettosa serratura. Ad
alimentare il suo rancore verso il marchingegno era anche un carattere burbero
che gli aveva fatto perdere il sorriso troppo precocemente, complice
l’abbandono, in giovane età, della sua amata Carla che preferì a Pietro un
belloccio di San Severino. Tale fatto condizionò per sempre la sua vita.
L’uomo non aveva certo del tempo da perdere con la
sua porta di casa. Infatti era terribilmente in ritardo per il consueto
appuntamento pomeridiano che si teneva verso le sei nella bottega del suo amico
Erminio, calzolaio e gestore dell’agenzia di pompe funebri in piazza Maurizi, e
a cui Pietro, assieme all’altro compagno di “merenne”, Reginaldo, non
rinunciava mai. I tre, appassionati del buon cibo, amavano concludere i freddi pomeriggi
invernali divagandosi in fatti di vita cittadina da condividere con altri
amici. Ed è proprio in un pomeriggio come tanti altri che tempo addietro nacque
Lu Spì, l’originale associazione che operò tra il 1927 e il 1963 a Tolentino, con
tanto di tessera e regolamento e che vide più di sessanta iscritti. Era una
società dal carattere enogastronomico in cui amici di vecchia data, e non, si
ritrovavano per passare una piacevole serata insieme, gustando i prelibati
piatti della cucina nostrana, accompagnati da vini bianchi e rossi e ascoltando
declamazioni in lingua originale. Anche Pietro ne era membro e stava
raggiungendo Erminio e Reginaldo per organizzare la prossima uscita fuori porta
dell’associazione. L’uomo entrò nella bottega dell’amico e senza indugi,
scostando la tenda che divideva il locale in due, fece capolino nel
retrobottega che prendeva vita per l’occasione. Era tipico di Eminio, al
sopraggiungere dell’ora stabilita, interrompere il lavoro ogni pomeriggio,
posando martello e lesina, per tirare la tenda.
“Ahò … è arrivatu lu pustì!” esclamò Erminio con un grande sorriso dipinto
in volto “Ma ‘ndo eri jito?” continuò, prendendo in giro l’amico.
Reginaldo rincarò la dose “Ce semo magnati tuttu lu pa’
e lu prisciuttu”. Afferrò il boccione del vino e capovolgendolo a testa in giù
dimostrò a Pietro la veridicità delle sue parole “avemo ‘veuto anche tuttu lo
vì!”
Facendo spallucce, dimostrando agli amici di non
essersela presa per la merenda ormai consumata, Pietro si giustificò asserendo
che “Aveva da fare con la serratura di casa sua”.
“Me parea strano, infatti, che fossi co’ ‘na donna!”
gli si rivolse con aria divertita Reginaldo.
“Ma quando mai?! Co’ si mattu? Mejo morì zitello,
che co’ ‘na donna attorno!” rispose Pietro all’amico, dimostrando che la ferita
per l’abbandono di Carla, in cuor suo, bruciava ancora sebbene fossero passati
decenni. “Se tocca fa’ ‘ste gite fori porta è solo perché le donne vostre no’
sopporta d’ esse escluse dalle cene nostre, dalle serate de Lu Spì!” precisò
l’uomo.
Il postino non aveva tutti i torti. Non che le donne
si lamentassero di non essere invitate alle tante cene che l’associazione ormai
era abituata ad organizzare al ristorante “Roma”, ubicato lungo l’omonima via,
ma gli uomini preferivano dedicare le serate invernali a sé stessi,
coinvolgendo le famiglie in periodi più caldi. Pietro non era affatto attirato
dall’opportunità di dover trascorrere queste gite fuori porta con chiassose famiglie
intere ma non poteva fare altrimenti poiché, come primo regolamento,
l’associazione sottolineava che “Chi non risponde all’invito della nostra
società, stia pur tranquillo che l’invito più non avrà”. L’uomo era troppo
innamorato delle riunioni conviviali de Lu Spì per potervi rinunciare. Erano vere
e proprie adunate attorno ad una tavola imbandita, dove amanti della buona
forchetta si ritrovavano. La cosa bella è che l’associazione era apolitica, ciò
vuol dire che uomini di ogni tendenza, di fronte a ad un piatto di
vincisgrassi, si buttavano alle spalle ogni sorta di antagonismo e si
comportavano come fossero fratelli, brindando all’invito de “Lu Strofà”, il
Signor Dandalo.
Erminio si alzò e si avvicinò all’amico e,
battendogli una pacca sulla spalla, disse “Jimo a magnà un po’ de vaccalà in
umido a la Cappelletta? Magari te torna lu von’ umore!”
“Bravo Ermì, così Pietro se rifà de’ la merenna!”
disse sorridendo Reginaldo.
I due amici del postino provavano da diversi anni a
farlo anche solamente sorridere, ma senza successo. Più il tempo passava e più
Pietro, avvicinandosi alla vecchiaia, si incupiva. Ormai, il danno sembrava
irreversibile.
CONTINUA ...
Nessun commento:
Posta un commento